“Da piccolo giocavo nell’Adriatico, una squadra della città. Ma la maggior parte del tempo la passavo al campetto del Cristo Re. Si tratta di una parrocchia del centro di Pesaro, quartiere mare. Era a 200 metri da casa mia. In città è un posto sacro per il calcio di strada. Ci giocavano personaggi che poi diventavano leggende. Andavi lì a guardare i più grandi giocare e imparavi le prime regole di sopravvivenza.
È proprio in quel campetto durante un torneo post-campionato, che vengo visionato da osservatori del Cesena.
Il regionale per Cesena partiva alle 13.24, me lo ricordo come fosse ieri. Il primo anno ero in terza media. Uscivo dieci minuti prima della campanella e fuori c’era mio padre. Io gli davo lo zaino, lui mi dava il borsone e il contenitore con la pasta. Mi incamminavo verso la stazione mangiando. L’essere timido rappresentava una mia debolezza e il primo anno ho avuto molte difficoltà, perché era tutto nuovo. Nonostante il nonnismo del Cristo Re ero più bambino di molti miei coetanei.
Arrivai in Romagna come attaccante, era il ruolo che avevo nell’Adriatico. Il primo anno non ho praticamente mai giocato. Le altre punte erano più brave di me. A fine stagione ho detto ai miei che volevo tornare nell’Adriatico e loro mi hanno detto: ‘Massimo fai come vuoi ma secondo noi non si molla alla prima difficoltà. Prova anche l’anno prossimo. Se poi continui a non essere felice, allora lasci’.
Dall’anno dopo è cambiato tutto, grazie a mister Davide Ballardini che ha avuto l’intuizione di farmi giocare a centrocampo.
Infatti un lunedì ero seduto sul divano con mio padre, trasmettevano un programma sportivo che parlava solo del Cesena, a un certo punto chiedono ad un dirigente un nome da tenere d’occhio per il futuro e lui fa il mio. Era la prima volta che sentivo dire Ambrosini in tv. Mi si è gelato il sangue.
Da lì è partita la mia carriera, dopo un anno da titolare nel Cesena, la scena chiave è ancora attorno al divano del salotto di casa mia.
Lo ricordo come se fosse ieri, la tv questa volta era spenta e i miei genitori stavano ascoltando il mio procuratore mentre sorseggiava il caffè fatto da mia madre. Era venuto a dirci che mi volevano Lazio e Fiorentina, ma che il Milan poteva chiudere tutto in poco tempo.
Io non ho esitato un istante, volevo il Milan.
A quel punto il mio procuratore guardò i miei e disse: ‘iniziate ad abituarvi all’idea che l’anno prossimo non lo avrete più in casa con voi, non disperate però, quando vi manca accendete la tv, lo troverete lì a giocare nei più grandi stadi d’Europa’.
Il giorno dopo mi ritrovai a Milanello accanto a Franco Baresi”.
[Massimo Ambrosini]